Affaritaliani.it a colloquio con Roberto Cingolani, già Ministro della Transizione Ecologica con il Governo Draghi. Ora a capo di Leonardo S.p.A, una grande storia di tecnologia, innovazione, competenza, ingegno, vera eccellenza del Mady in Italy nel mondo.

Dottor Cingolani, che cosa significa guidare Leonardo in questo periodo storico in cui la necessità di rafforzare la nostra Difesa e pensare finalmente alla costruzione di una Difesa comune europea è sempre più urgente?

Abbiamo un periodo molto complesso di fronte a noi. Negli ultimi due anni una guerra, tutto sommato periferica, nel sud-est dell’Europa, ha scatenato una insicurezza globale.  A livello planetario abbiamo toccato con mano l’insicurezza economica, energetica, cibernetica, quella alimentare. Il modello di Difesa, così come era stato concepito sinora, è mutato profondamente. E noi che ci occupiamo di Difesa dobbiamo rivedere il modello d’approccio, cominciare a pensare in termini di sicurezza globale e non più di semplice, e dico semplice tra virgolette ovviamente, di semplice Difesa. Questo richiede una revisione completa dei nostri modelli, delle nostre tecnologie, del modo in cui operiamo sia a livello domestico nazionale che a livello internazionale.

L’aumento delle esportazioni e, dunque, dei ricavi per Leonardo significa possibilità di crescita anche dal punto di vista occupazionale. Siete, se non sbaglio, circa 50.000 nel mondo ed è un dato in costante aumento…

Sì, siamo una multinazionale che ha più di 106 sedi nel mondo e oltre 52.000 dipendenti, più di 30.000 solo in Italia. E’ rilevante non solo il numero dei dipendenti, ma anche la supply chain, che è tutta la catena di aziende che ci offrono servizi e prodotti.

Difesa, aerospazio, sicurezza e non solo: in un periodo di grandi cambiamenti geopolitici, economici, tecnologici. Un’azienda che opera in tutto il mondo per costruire tecnologie per la Difesa. Un’azienda, si può dire, leader della sicurezza globale…

Sì, la nostra capacità di attrarre soprattutto giovani è molto elevata, anzi adesso cominciamo a fronteggiare un problema che non ci aspettavamo, la carenza di sufficienti figure STEM. Le università non ne producono abbastanza…

In Italia ancora meno?

In realtà è un problema diffuso in tutta Europa. E bisogna anche considerare che, per questioni di sicurezza, purtroppo noi non possiamo attingere a bacini di giovani tecnici, ricercatori, molto ben preparati che sono per esempio in Cina o in Iran. 

Non si può attingere all’offerta complessiva, e questo credo sia un problema anche per gestire al meglio la rivoluzione in atto, l’avvento dell’Intelligenza Artificiale che sta già rivoluzionando le nostre vite. Come viene usata da Leonardo, negli ambienti militari, o aerospaziali?

Per noi è un cambio enorme. Il paradigma della futura Difesa è che i diversi domini (terra, mare e cielo) potranno comunicare fra di loro. I satelliti potranno monitorare tutto in tempo reale e trasmettere le informazioni che sono scambiate fra l’aereo, il carro armato e la nave. Queste informazioni sono analizzate e interpretate da computer estremamente potenti e veloci e al contempo devono essere cyber protette.
Si tratta dell’ “interoperabilità”. Questo tipo di ambiente è dominato dalla capacità di calcolo, da tecniche digitali e dall’intelligenza artificiale quindi necessitiamo davvero di tante nuove figure specializzate. 

Attualmente nel mondo ci sono 59 conflitti. Sembra che l’uomo non sappia proprio vivere in pace e che le guerre siano inevitabili. Ora, quello che ci preoccupa ovviamente sono le vere vittime dei conflitti, i civili, i bambini… Le nuove tecnologie possono in qualche modo essere utilizzate anche per proteggere i civili nelle guerre?

Premettiamo che purtroppo la guerra è comunque ingiustificabile. Lo dice un padre, un cittadino… La deterrenza al momento è l’unico strumento che abbiamo per difendere la pace. È meglio far paura e scoraggiare gli attacchi, piuttosto che “andare a fare a botte” per vedere chi vince. Questo vale anche nella vita di tutti i giorni.  Con queste premesse, le nuove tecnologie stanno remotizzando tutto, stanno rendendo i sistemi sempre più autonomi. Si va verso scenari dove ci saranno sempre meno esseri umani impegnati nella guida diretta di questi sistemi.

Meno esseri umani e più robot quindi!

Sì, quando si parla di robot purtroppo c’è la percezione del robot cattivo che attacca l’essere umano, ma questa è una cosa da film. La macchina non avrà mai l’intenzione di fare del male ad un essere umano, dovrà essere guidata da qualcuno, quindi di fatto è un’arma attiva che potenzialmente salverebbe tantissime vite umane.

La Nato chiede che vengano aumentate le spese militari e noi in Italia siamo ancora lontani, come dice il Ministro Crosetto, dal raggiungere l’obiettivo del 2%. Che cosa si potrebbe fare per rafforzare la nostra Difesa?

Intanto consideriamo che in Europa quasi tutti i Paesi sono lontani dalla soglia del 2%.  Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Nato difendeva tutti e c’è stato un periodo “di pace fredda” in cui la sicurezza è stata data per scontata con la falsa convinzione che non fosse più necessario investire.  Poi c’è stato un brusco risveglio nei tempi recenti. Le guerre hanno messo a repentaglio tutto, dal riscaldamento delle case, all’andamento dell’economia. Il costo dell’energia ha cambiato il nostro potere d’acquisto, il grano disponibile per i paesi più poveri dell’Africa si è ridotto drasticamente, siamo insicuri dal punto di vista della protezione delle reti energetiche…  Quindi ci siamo resi finalmente conto che la pace ha un costo, la sicurezza ha un costo e che questa consapevolezza richiede un cambiamento enorme. Servono più risorse, ma anche una strategia per garantire la sicurezza dei cittadini. 


Parliamo della creazione di una Difesa comune europea. Se ne parla da anni, ma ancora non ci siamo riusciti. Come mai? A che punto siamo?

In Europa siamo 27 Stati membri, ciascuno dei quali ambirebbe a garantire la propria sicurezza con le proprie piattaforme e le proprie armi, senza comprendere che ciascuno di noi è troppo piccolo per farcela da solo. Non c’è ancora l’orchestra, non c’è lo spazio europeo della Difesa. Dovremmo cominciare a chiederci se sia meglio avere 27 Stati membri che investano ciascuno il 2% del Pil sul proprio comparto Difesa, oppure se utilizzare il 2%  in uno spazio europeo della Difesa comune che diventerebbe molto più efficace.  Se compariamo gli investimenti che vengono fatti per esempio negli Stati Uniti, che investono più del doppio di noi, in Europa non è solo la quantità assoluta di risorse, ma il fatto che si investa in ricerca e sviluppo in modo frazionato. Diventa difficile, anche in un’alleanza grande come quella della Nato, essere un partner solido, affidabile se siamo così frammentati.
 

La sicurezza è una priorità, anche oltre la guerra?

In questi anni abbiamo toccato con mano l’insicurezza anche se non abbiamo visto i carri armati. Pensiamo alle conseguenze economiche. Inoltre, in un mondo sempre più tecnologico, bisogna considerare la guerra cibernetica. Gli attacchi hacker alle banche, ai dati della Difesa, del sistema sanitario, della pubblica amministrazione. Anche se non ci sono vittime dirette, anche questa è una forma di guerra e anche questa è una forma di insicurezza, perché può paralizzare il Paese. Questo è un buon motivo per difendere la pace e capire che quelli che ci garantiscono la sicurezza non sono soldi sporchi, non sono soldi buttati. La sicurezza è una priorità, è un diritto Universale.