La voce di Iside (Readaction, 2024) è proprio quella che manca all’inizio di una storia che scende nel disagio giovanile, partendo dal silenzio della sua omonima protagonista adolescente, Iside, che vive una fase di chiusura al mondo e alla socialità, a cavallo di un’incomprensione che è anche auto-incomprensione. Parte da qui il romanzo della giornalista e scrittrice Claudia Conte che, come spesso accade a chi nella vita racconta la realtà per mestiere, ha dato vita ad un testo che potrebbe essere tutt’altro che un romanzo. L’autrice, infatti, con l’abilità di chi padroneggia la conoscenza del mondo che si avventura a raccontare, è così circostanziata e, come lei stessa evidenzia nei ringraziamenti finali, ispirata a fatti e realtà veri, che diventa difficile non rivedere quella preoccupante prospettiva che da qualche anno sociologi, antropologi, psicologi e tanti altri addetti ai lavori annunciano.

Dopo il lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19 sembrano essersi acuite tantissimo le forme di disagio che caratterizzano un età complessa come può essere l’adolescenza e i giovani adulti, anche se parliamo di categorie anagrafiche di riferimento rispetto ad un disagio che talvolta è molto più trasversale. Iside – ad esempio – sta per compiere diciotto anni, ci sono problemi in famiglia, e così si è chiusa progressivamente in un “mutismo selettivo”, rifugiandosi nei libri, in letture che la consolano, la ispirano e, non di rado, le danno qualche risposta o comunque qualche nuovo pensiero.

Un giorno però si imbatte in un episodio di “violenza”, quella più cruda, più basica, quella fisica; si consuma avanti ai suoi occhi e – pur essendo tra le cose peggiori che potessero accadere – le suona come una sveglia. Le si accende la rabbia, prima ancora del coraggio, per un’ingiustizia o forse ancora di più per la sua impotenza. Sono gli stessi giorni durante i quali, proprio nelle stanze della Questura alla quale sono costretti a rivolgersi a seguito dell’episodio di violenza,  si ritrova a leggere un bando del servizio civile affisso al muro.

Iside non sa neanche cosa sia, ma il fatto che possa essere una risposta a quella tediante, continua e invadente domanda «cosa farai dopo la scuola?» le sembra già un buon punto di partenza.

Ora se il testo si fermasse qui, sarebbe una storia come tante; Claudia Conte, invece, prova a dare una dare una soluzione per arginare questo dolore giovanile: ella propone il “volontariato”, la “cittadinanza attiva” e la “responsabilità sociale” come cura. Al quale abilmente affianca anche un ritorno alla rete famigliare costruita dai parenti più prossimi che, alle volte, riescono più facilmente ad entrare in comunicazione più di quanto non riescano a fare direttamente i genitori ansiosi di sbagliare.

La voce di Iside alla fine torna. E te lo aspetti che sia così dal momento che è nome non solo della protagonista e della cooperativa sociale nella quale sceglie di svolgere il suo volontariato, ma anche ispirato alla dea egizia della magia e della fertilità, in questo caso delle emozioni e delle riflessioni. Claudia Conte dà alla luce una “cura”, una risposta: l‘interessamento all’altro, l’educazione dell’empatia, riconoscere, dipoi, se stesso nel prossimo. E va da sé che questo sia il modo migliore per riconoscere se stessi e sanare una società i cui danni da indifferenza sono sempre in aumento. Compreso il disagio giovanile, frutto forse di una distrazione sociale, di un “villaggio” attorno a loro che manca.

Claudia Conte li ha rimessi al centro. Si può – e si deve – iniziare da qui.